Non c’è posto per la cultura nella campagna elettorale

Interssante articolo di Annalisa Camilli per Internazionale:

...Secondo la rete Reter, che ha compilato una mappa online, sono stati almeno 35 gli sgomberi di spazi sociali eseguiti dal comune tra il 2016 e il 2017, senza una valutazione del loro valore sociale. “Il sospetto, corroborato dall’analisi degli elenchi degli immobili di proprietà comunale, in cui molti stabili sono letteralmente spariti, è che si voglia svuotare gli spazi per riclassificare i beni da patrimonio indisponibile (e non alienabile) a patrimonio disponibile da mettere a bilancio”, scrivono gli attivisti. E al di là degli spazi occupati, Roma non sembra più puntare sulla cultura e neppure sugli eventi, come era avvenuto invece negli anni ottanta, quando assessore alla cultura era Renato Nicolini, e in uno spirito diverso con le giunte degli anni duemila, che hanno impresso dei cambiamenti urbanistici importanti alla città, come la costruzione di poli culturali di rilievo come l’Auditorium, il Maxxi, il Macro, la riqualificazione di diversi spazi come l’ex Mattatoio a Ostiense e il Teatro India. L’idea era che Roma vivesse anche della sua immagine, del rapporto con la sua rappresentazione, ma quel momento sembra ormai tramontato.
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“Come è triste la prudenza”: era la scritta su uno degli striscioni che un gruppo di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo portarono all’interno del teatro Valle, uno dei più antichi teatri di Roma, dieci anni fa, il 14 giugno 2011, quando decisero di occuparlo per salvarlo dalla chiusura e dall’abbandono e per denunciare l’assenza di politiche culturali di lungo respiro nella capitale e nel paese. L’occupazione del teatro doveva durare tre giorni invece andò avanti per tre anni. Tutto era cominciato con la dismissione da parte dell’Eti, l’Ente teatrale italiano, in favore di privati e l’annuncio dei tagli al Fus, il Fondo unico per lo spettacolo.

I lavoratori dello spettacolo volevano denunciare la mancanza di finanziamenti adeguati per il cinema, per il teatro e per le arti in generale, le difficoltà di accesso ai fondi, la precarietà dei lavori legati allo spettacolo, la discontinuità di quel tipo di contratti, l’assenza di un reddito di base o di intermittenza e la progressiva chiusura degli spazi culturali nella capitale. “Questa chiusura c’è tutt’ora, anzi ora è stata accelerata per via della pandemia”, spiega Benedetta Cappon, una delle occupanti del Valle.

All’epoca gli occupanti chiedevano che non si lasciasse in uno stato di abbandono uno dei teatri più antichi di Roma, all’interno di palazzo Capranica, dove era andata in scena nel 1924 la prima di Sei personaggi in cerca di autore, di Luigi Pirandello. “Una nazione civile di questo teatro ne avrebbe fatto un monumento nazionale”, aveva detto Andrea Camilleri, commentando l’occupazione. Lo slogan del Valle era: “Un teatro vivo, in un paese vivo”. “Ci incontrammo a largo Argentina ‘vestiti’ da turisti, poi grazie al custode del teatro entrammo, salimmo sul palco, fu una grande emozione”, ricorda Cappon. In quei giorni c’era stato un referendum molto partecipato che chiedeva di non privatizzare i beni comuni come l’acqua e quella riflessione sui beni comuni fu uno dei cardini delle attività del teatro occupato che per anni fu attraversato da esperienze diverse, laboratori, dibattiti, sperimentazioni.

Spazi abbandonati
Le contingenze internazionali erano favorevoli: c’erano state le primavere arabe nei primi mesi del 2011. Da Tunisi al Cairo, fino a Gezi Park, in Turchia, i giovani scendevano in piazza per chiedere libertà e democrazia; a Madrid migliaia di giovani avevano occupato la Puerta del Sol e negli Stati Uniti gli attivisti si erano accampati a Zuccotti park, dando vita al movimento Occupy Wall street, con l’obiettivo di chiedere conto della crisi economica a quelli che l’avevano creata. “Gestivamo il teatro Valle attingendo a tutta la riflessione di quegli anni sui beni comuni: ci sembrava che i beni artistici, gli spazi culturali andassero gestiti per il loro valore sociale e non in base alla proprietà”, spiega Cappon. L’11 agosto 2014 dopo un lungo negoziato finì l’occupazione e il teatro fu restituito al Teatro di Roma, che aveva preso l’impegno di restaurarlo e di rimetterlo in funzione.
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