Sulle periferie serve una visione diversa

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Questo articolo è uscito su Parole, un numero di Internazionale Extra che raccoglie reportage, foto e fumetti sull’Italia. Si può comprare sul sito di Internazionale o, in digitale, sull’app di Internazionale.

La parola periferia compare spesso durante le campagne elettorali e intorno ai suoi significati si addensano ambiguità, equivoci e spesso cattiva retorica. Ma prima di tutto, periferia al singolare o periferie al plurale? Il buon uso della parola dipende molto dalla scelta grammaticale perché da questa discendono i diversi atteggiamenti che, soprattutto la politica ma anche l’informazione o alcune discipline accademiche, assumono nei confronti di queste parti della città, tante volte evocate, ma non sempre in modo aderente.

Un termine condannato a interpretazioni arbitrarie o addirittura un attraente guscio vuoto di senso? L’etimologia risale alla lingua greca e sta per “portare intorno”, che possiamo anche intendere come “collocare lungo i bordi”. Uno dei più attenti studiosi della questione, Giovanni Laino, professore di urbanistica all’università di Napoli Federico II, sostiene però che la parola non è affatto antica, almeno nei vocabolari della lingua italiana, “dove compare alla fine degli anni venti del secolo scorso con un’accezione topografica”, che da allora si è consolidata se non fossilizzata. Per cui quando si parla di periferia, al singolare, si designano quartieri lontani dal centro. Che siano caratterizzati da situazioni di disagio e acute disuguaglianze o schiere di villette e palazzine borghesi, sembra secondario. E invece non lo è.

Il centro storico di Roma compreso entro le mura Aureliane e la città costruita fino alla metà del novecento (dunque quartieri come Prati, Trieste, Parioli, Pinciano, Eur) ospitano circa 350mila residenti. E ogni anno questa cifra si riduce. Poco più di un milione di romani risiede in quella che viene definita periferia storica (come Tuscolano, Prenestino, Tiburtino). E anche qui la popolazione cala. Un milione e duecentomila persone vivono invece intorno al grande raccordo anulare, appena dentro e soprattutto fuori dell’anello che avrebbe dovuto recintare la capitale. In quella che viene chiamata la “città anulare” la popolazione cresce a ritmi molto elevati (il 40 per cento in più nei primi vent’anni del duemila).

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