Parola d'ordine: partecipazione. Intervista alla Garante nazionale
Carla Garlatti: “L'obiettivo è fornire indicazioni concrete per favorire il coinvolgimenti dei giovani nei processi decisionali. Fondamentale mettere in relazione e a sistema le esperienze delle associazioni del terzo settore. Serve una norma primaria”
(di Chiara Ludovisi per redattoresociale.it/)
ROMA – Un “manifesto” che non sia solo una dichiarazione d'intenti, ma produca un cambiamento reale e concreto, favorendo e realizzando la partecipazione dei giovani nei processi decisionali. E' questa la priorità che la Garante nazionale dell'Infanzia e l'Adolescenza ha scelto di mettere al centro della Giornata internazionale dei diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza che si celebra oggi.
Come dare concretezza a questa intenzione?
Il manifesto nasce nel segno della concretezza: con gli strumenti della 'soft law' si cui disponiamo, forniamo indicazioni concrete per costruire percorsi partecipativi, a partire dalle esperienze delle associazioni, che tramite la Consulta saranno messe in relazione tra loro e quindi sistematizzate. A quel punto la Consulta stessa formulerà raccomandazioni e un varo e proprio vademecum, per realizzare percorsi partecipativi in tutti i contesti. Dobbiamo dire chiaramente ai giovani che le loro opinioni contano e che le decisioni a cui partecipano possono avere un impatto reale nel cambiamento della società e della cultura.
Come si possono coinvolgere i ragazzi e le ragazze, soprattutto quelli più fragili e periferici?
La nostra Consulta dei ragazzi e delle ragazze ha questo compito specifico: ha una composizione trasversale e ne fanno parte anche ragazzi e ragazze, bambini e bambine che vivono una condizione di fragilità. Tramite i rappresentanti della consulta, quindi, viene data voce alle diverse condizioni e ai diversi contesti vissuti dai giovani. E poi ci sono le regioni, che speriamo seguano il nostro esempio e, sul modello della Consulta nazionale, costituiscano consulte territoriali, come già ha fatto, per esempio, l'Emilia-Romagna. Perché questo processo funzioni, è fondamentale valorizzare e mettere a sistema esperienze e buone prassi già esistenti sui diversi territori, portate avanti da diverse associazioni, che oggi però sono frutto di buona volontà e singole iniziative e prive di risorse adeguate. E' il compito che abbiamo affidato alla Consulta nazionale delle associazioni, che pubblicherà entro un anno il risultato della sua ricerca sui percorsi di partecipazione. Al tempo stesso, però, è necessario che ci sia una norma primaria, che conduca le amministrazioni e le istituzioni ad ascoltare i ragazzi.
La scuola dovrebbe essere la prima istituzione ad accogliere questo appello, ma pare sia in ritardo cronico...
Sì, la scuola fatica ad adeguarsi e tende a rimanere ancorata a vecchi modelli, non rispondenti alle esigenze e all'idea che i ragazzi hanno della scuola stessa. Per questo, con Skuola.net, abbiamo lanciato la campagna “La scuola che vorrei”, tramite cui raccogliamo idee e stimoli da parte degli studenti, cercando in questo modo di favorire la loro partecipazione alla costruzione di un modello di scuola più somigliante a quello che desiderano. Contiamo di riferire i risultati di questo sondaggio in primavera e di formulare, sulla base di questi, indicazioni e raccomandazioni, che ci auguriamo saranno ascoltate e messe in pratica.
Che ruolo può svolgere l'informazione nella costruzione di questa cultura della partecipazione?
Un ruolo importantissimo, a cominciare dalla diffusione degli strumenti che esistono e di fin d'ora i ragazzi e le ragazze possono servirsi per essere ascoltati.