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Qui vive Jeeg: Gianni e il calcio

La storia di Gianni è comune a quella di tanti genitori. Due figli maschi, classe ’89 e ’92, entrambe con la passione per il calcio e la voglia di giocare. È così che tanti papà (ma anche molte mamme) finiscono per trascorrere anni dietro ad una rete, assistendo agli allenamenti infrasettimanali o alle partite della domenica. Anni di borsoni da preparare, di scarpini da pulire, soprattutto di chilometri da macinare con la macchina, per raggiungere sperduti campetti di periferia. “Inizi a seguire i tuoi figli come genitore”, racconta, “e poi le società ti chiedono aiuto per le trasferte”.

Così, quasi per inerzia, Gianni si è ritrovato a fare il dirigente calcistico per ben 15 anni, la maggior parte dei quali con la A.S.D. Roma VIII, una delle due squadre di Tor Bella Monaca. E mentre il figlio più piccolo passava dalla scuola calcio all’agonismo, lui sperimentava un po’ il dietro le quinte del mondo del pallone, seppur a livello amatoriale. “Di errori se ne fanno tanti, sia come genitore che come dirigente; il più frequente è quello di voler far vivere a tuo figlio delle esperienze che tu non hai potuto fare”. D’altra parte, è risaputo che molti dei problemi dei calciatori in erba nascono da mamme e papà che si sfogano sugli spalti.

“Pensi che l’impegno che tu metti a portare tuo figlio a scuola calcio debba essere ripagato dal suo risultato, ma in realtà il ragazzino si deve solo divertire; il primo obiettivo della scuola calcio deve essere la socializzazione”. A questo proposito, Gianni tira fuori dai cassetti della memoria un ricordo nitido. “Partecipavamo a un torneo con tutte le squadre affiliate alla Roma, organizzato allo Stadio Flaminio; quando si trattò di decidere chi convocare, l’allora Presidente fu netto e stabilì di portare tutti i bambini della squadra, anche quelli meno pronti”. Come andò a finire? Finale persa e ragazzini entusiasti per aver vissuto un’esperienza unica, su un campo vero. “Alcuni di loro non si interessavano neanche alla partita ma non smettevano di guardarsi intorno”. Se si depura il calcio, anche quello giovanile, dei furori competitivi, resta il suo nocciolo più autentico e necessario: uno sport capace di essere potente magnete di aggregazione. Soprattutto in quartieri dove le alternative mancano. “Nelle realtà difficili come Tor Bella Monaca”, sottolinea Gianni, “l’allenatore e il dirigente della scuola calcio, per alcuni bambini, sono punti di riferimento”. D’altra parte, le scuole calcio sono strutture private che devono far quadrare i conti ma che si scontrano anche inesorabilmente con le condizioni di disagio della zona in cui sono presenti. “Personalmente, ho visto dei mister comprare gli scarpini ai loro allievi, pur di farli giocare; il bello di stare dentro la scuola calcio era proprio questo: condividere con i bambini un progetto, tutti insieme”.
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