Da dicembre a oggi cinque senza dimora sono morti a Roma. Uccisi dal freddo in varie zone della città, dal Tintoretto alla centralissima piazza dei Cinquecento. Cinque uomini che per dimora avevano una panchina o un giaciglio sotto un cavalcavia.
(articolo di Roberta Pumpo su romasette.it/)
Il diacono Giustino Trincia, direttore della Caritas di Roma, oltre ad esprimere dolore per la morte di cinque persone, ritiene «importante smentire questa logica dell’emergenza freddo. L’emergenza dura tutto l’anno. Ci sono nella Capitale 8mila persone che vivono in condizioni abitative molto precarie o per strada. Bisogna assolutamente affrontare in maniera strutturale questo problema umanitario, sociale, economico e sanitario».
Una questione annosa, che si trascina da anni e che si può risolvere solo con la compartecipazione di vari enti «a partire dalle istituzioni pubbliche, che hanno sì un ruolo decisivo, ma non basta – prosegue il direttore dell’organismo pastorale diocesano per la promozione della carità -. È necessario coinvolgere i soggetti economici, sociali, la Chiesa. Insieme dobbiamo affrontare quanto prima il problema perché ogni giorno, per 12 mesi l’anno, 8mila persone non hanno una casa».
La questione, per Trincia, rientra nella più vasta e complessa emergenza abitativa a Roma, “il problema” della Capitale da decenni. «La carenza di alloggi è nota a tutti, quindi si possono, per esempio, rendere disponibili quelli non utilizzati», dice ricordando che la Caritas diocesana nei giorni scorsi ha formulato sei proposte per affrontare anche l’emergenza sfratti che incombe su 4mila famiglie.
«Ora serve un Pnrr dedicato alle persone che vivono ai margini della società alle quali, in molti casi, si può dare una possibilità per rimettersi in piedi – conclude Trincia -. È tempo di guardarsi in faccia e non ragionare più solo in termini economici, prescindendo dal contesto sociale e umanitario. Serve un approccio promozionale e non meramente assistenziale, perché questi problemi, se non risolti, continueranno a essere un freno per lo sviluppo».
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