Le sette Rome, un romanzo per dati e grafici

Di Domenico Chirico per la rivista Gli Asini

Va riconosciuto all’editore Donzelli un importante lavoro svolto negli ultimi anni per alimentare il dibattito sulla città di Roma, con saggi di urbanisti e politici come Cellamare e Tocci, e più un generale un ragionamento su come vivere nel nostro ecosistema con contributi di pensiero innovativi come quello del filosofo Menga sull’emergenza del futuro. Tra questi contributi spicca il nuovo saggio di Keti Lelo, Salvatore Monni e Federico Tommasi Le sette Rome, la capitale delle diseguaglianze raccontata in 29 mappe, un testo che ha il merito intanto di essere fruibile a tutti. Di poter essere studiato nelle scuole e di diventare strumento di analisi per chi si occupa della città. Di essere peraltro in parte disponibile on line sul nuovo ed efficace sito del gruppo di studiosi www.mapparoma.info.

I tre ricercatori, dopo il successo delle Mappe delle diseguaglianze – sempre dedicato a Roma – tornano a scomporre per dati e grafici la capitale e prima di ogni altra cosa superano la vetusta visione centro-periferia che ormai è utilizzata solo nelle redazioni di alcuni media mainstream ma che non racconta in nessun modo la città attuale e i suoi sviluppi. Del resto i numeri parlano chiaro. Roma con i suoi circa 2 milioni e 800mila di abitanti, senza contare i comuni limitrofi che sono de facto parte della città, ha un centro storico dove abitano circa 150mila persone, meno del 6% dei suoi abitanti. La città va appunto scomposta e ricomposta in altre forme come fanno gli autori delle sette Rome, basandosi su indici dell’Istat, dell’Inps, della Caritas e di altre fonti utili a una lettura dei fenomeni socio-economici e demografici. E individuano appunto sette città: la prima quella storica, sempre meno abitata e con tassi di spopolamento vertiginosi, che potrebbero dirsi anche di fuga, a fronte dell’aumento di strutture ricettive e della mala gestione di un flusso turistico che, pre-pandemia, era di 10 milioni di persone all’anno; città storica che però dispone di ottimi servizi educativi, culturali, di trasporto pubblico, come se fosse ancora centrale all’Urbe. Poi c’è la città ricca che comprende non solo Roma nord, come una narrazione facile ha raccontato negli ultimi anni. Ma ci sono tutti i quartieri, dall’Eur, alle ville dell’Appia antica all’Olgiata, che per indici di reddito ed educazione, ad esempio, vedono le persone più benestanti viverci più isolate rispetto al caos cittadino. C’è una grande fetta di Roma definita la città compatta dove insistono tutti quei quartieri ad altissima densità abitativa e urbanizzazione come San Giovanni, Centocelle, Torpignattara e dove più di un milione di romani risiedono.

C’è naturalmente la città del disagio che comprende tutti quei quartieri, tra cui le famose zone delle torri dove c’è un alto tasso di edilizia popolare, bassa scolarizzazione, alto numero di richieste di sussidi e redditi bassi. A seguire c’è una città dell’automobile, cresciuta negli ultimi anni soprattutto intorno all’urbanizzazione avviata con il più recente piano regolatore intorno al GRA. Dove si sono creati nuovi quartieri intorno ai grandi centri commerciali e sono spesso lontani da servizi e dal centro, in un mito delle “nuove centralità” che ha solo arricchito alcuni costruttori ma sicuramente non ha creato nuove agorà. E dove l’uso dell’auto è necessario per essere connessi al resto della città, anche questa una scelta controcorrente rispetto alle opzioni di mobilità sostenibile seguite da molte altre città europee. E poi la sesta città è quella che vive in campagna, essendo Roma il comune agricolo più grande d’Europa, ancora – e per fortuna – con intere aree coltivate e al momento sottratte alle speculazioni. Ma al contempo sono aree disperse nella città continua e spesso poco servite dai servizi. Trasversale a tutte le prime sei c’è la settima città, quella che si poteva osservare dalle finestre di casa durante il lockdown, ovvero la città degli invisibili. Persone che vivono in strada o in situazioni di enorme precariato che durante la pandemia sono diventate visibili, aggirandosi da sole per le città deserte alla ricerca di forme di sostegno. Ed è assolutamente centrale che gli autori de Le sette Rome includano anche questa città che non segue linee geografiche come le altre ma la attraversa, a ricordare l’alto livello di diseguaglianze che convivono nella capitale. Includono anche una mappa delle occupazioni abitative che coinvolgono più di 15mila persone in città e rimangono, assieme ai campi rom, un unicum della Capitale d’Italia. A testimoniare l’incapacità di trovare soluzioni innovative, come avvenuto in altri capitali europee, per trasformare in esperimenti di co-housing o superare questi ghetti di marginalità.

E seguendo il loro ragionamento su Roma e il suo sviluppo il loro contributo all’analisi diventa importante con altre due sezioni del saggio dedicate la prima alle imprese in città e la seconda ai danni arrecati dalla pandemia. Nel primo caso si fa una disanima dei principali indicatori economici, dell’andamento delle imprese e dei settori che hanno maggiore incidenza sull’economia cittadina. Naturalmente il commercio e i servizi, e in parte l’edilizia, la fanno da padrone in una città che non ha mai avuto uno sviluppo industriale, ma è rilevante osservare come sembri chiaro dall’analisi che manchi generalmente una visione su quale debba essere un modello di economia sostenibile per Roma. In che modo ovvero la città possa trovare al suo interno le forze per risollevarsi dalle diverse buche in cui è finita negli ultimi anni e di cui le 28 mappe delle diseguaglianze del testo danno un nitido resoconto.

A questo proposito l’analisi del pre e post pandemia in una serie di settori, incluso il turismo, è particolarmente illuminante. Si racconta una città che ha investito molto sul turismo mordi e fuggi a detrimento dei servizi per i suoi cittadini. Di fatto una città che è stata resa invivibile negli ultimi 10/15 anni e il cui investimento in questo settore è crollato negli ultimi due anni.
Lo studio ha dunque il merito di fornire dati a sufficienza per capire dove intervenire e come. Ad esempio, con una redistribuzione dei servizi e dei trasporti spesso ancorati alla città divisa tra centro e periferia che non esiste più. I dati sono assonanti con altre ricerche sulla città che suggeriscono ai futuri amministratori di avere una visione dell’ecosistema cittadino che ponga nuovamente al centro i suoi abitanti, visibili o invisibili che siano. Le risorse del Pnrr sarebbero una buona occasione per rigenerare parte della città e ricostruire delle vere agorà partendo dall’assunto che Roma non è amministrabile più dal suo centro ma va appunto scomposta su nuovi assi. Considerando le sue 155 aree urbanistiche, in cui in media abitano 18mila persone, o i suoi 15 municipi, alcuni dei quali hanno già le dimensioni di città come Torino o Firenze con i loro 300mila abitanti. Già se ogni Municipio avesse una maggiore autonomia si sarà fatto un decisivo passo in avanti nell’amministrazione pubblica di una città ora ingestibile. E questa proposta è stata recepita già da alcuni candidati sindaci, anche se i tempi sarebbero sicuramente lunghi.

In ogni caso se si riuscisse, sulla base anche dei dati de Le sette Rome a riorganizzare l’Urbe e ripensarla in diverse città da amministrare, ciascuna con i suoi problemi e le sue soluzioni, già sarebbe un passo essenziale di riavvicinamento ai cittadini. Riscoprendo quella prossimità che sembra ora fatta solo di monnezza, fauna varia, fatica quotidiana e tramonti mozzafiato che potrebbe invece ritrovare forza e visione, anche con l’appoggio della vivace società civile che è attiva in buona parte della città con proposte continue di animazione sociale, sportiva e culturale, nonché – ed è essenziale, di impresa sostenibile. E che durante la pandemia ha praticato con successo reti mutualistiche e di solidarietà.

Le elezioni sono solo un passaggio in un percorso che, se preso in mano dalle parti attive della città, durerà decenni. Chiunque le vinca dovrà avere visione e capacità di gestione “rivoluzionaria” della città e del suo buon vivere comune. L’ottimo lavoro delle Sette Rome ci manifesta, un’altra volta, l’urgenza di agire.

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