Le città dopo il Covid-19

di Alessandro Barile su https://www.doppiozero.com/

I vari contributi presenti in questo veloce libretto sono stati scritti tra l’estate e l’autunno del 2020. Già solo questo fatto suscita una qualche curiosità: come vedevamo il mondo nel vortice dell’epidemia, ancora concentrati sul numero di contagiati, degli intubati e dei morti, impauriti dal virus e dalle strategie di contenimento? Sebbene ancora in presenza di una forte circolazione del virus, il contesto appare oggi completamente mutato: la conta giornaliera ha perso il suo appeal apocalittico, persino il numero di vaccinati, prima ossessivamente consultato e commentato, ha oggi lasciato il campo unicamente alle polemiche (sempre più residuali) sul green pass. Insomma, la quotidianità sembra essersi ripresa definitivamente la scena dopo qualche mese di stralunata e drammatica sospensione, e ciò che fino a sei mesi fa si presentava in forma catastrofica oggi è trattato con infastidita sufficienza.

Quanta distanza con la retorica millenaristica del 2020: “non torneremo al mondo di ieri” e “niente sarà più come prima”, ricordate? Come ogni crisi, questa si è “limitata” – per così dire – ad accelerare tendenze già pienamente presenti nel mondo pre-crisi. Nulla che già non conoscevamo si è assestato: smart working e gig economy, delivery e telelavoro, transizione ecologica ed esplosione della socialità telematica: tutto ciò che era ben presente nel 2019 si è riproposto, moltiplicato, ingigantito e pervertito, nel 2021. Già questa, però, è una novità di cui tenere conto, che cambia il volto delle nostre vite e, specificatamente in questo caso, delle nostre città. Il futuro era già qui, solo che si è socializzato, o per meglio dire tende a fagocitare ogni spazio conteso, debellandolo da quelle sopravvivenze oramai disfunzionali al “pieno sviluppo delle forze produttive”. La crisi è sempre un’occasione per chi sa (e può) coglierla. 

La città post-pandemica 

In tal senso, i contributi curati da Fausto Carmelo Nigrelli escono inevitabilmente già datati. Le ansie e le speranze che alimentavano i ragionamenti di un anno fa si sono scontrati con una realtà che ha ripreso il suo corso metabolizzando quanto di utile poteva darsi al rafforzamento dello status quo. Una crisi governata dall’alto, senza significative mobilitazioni alternative, non poteva che ridurre il portato degli eventi a una gestione accorta di quanto poteva “sfuggire di mano”. È in ogni caso quanto riconosciuto dagli autori più attenti alla realtà nel suo complesso, come Stefano Munarin: 

Penso che dobbiamo ragionevolmente attenderci (e anche in parte sperare in) risposte “tecniche”, parziali e settoriali, anche se noi, giustamente, tendiamo a riconoscere una dimensione più ampia e complessa dei fenomeni. Ciò che temo per il “dopo” quindi, sapendo come si sono “risolte” alcune precedenti crisi è piuttosto una sorta di ennesimo risultato gattopardiano, nel quale “nulla sarà come prima” eccetto che i ricchi saranno sempre più ricchi (sani e protetti) e i poveri sempre più poveri […]. La città del dopo, almeno per quanto riguarda il suo aspetto fisico, spaziale, sarà la città del prima e del durante, con piccole variazioni [p. 129].  

L’inevitabile sfasamento temporale è il caro prezzo che pagano gli studi sociali. In questo caso il prisma è dato dalla realtà urbana in rapporto al virus: come potevano cambiare le città, e come stanno effettivamente cambiando? Perché bisogna pur dire che la realtà urbana – una delle principali investite frontalmente dalla pandemia – ne esce se non stravolta, sicuramente trasformata. La città post-pandemica è una città diversa? Questa è la prima questione di cui bisognerebbe discutere, e che il libro affronta con quel carico di speranze (ma anche di timori e di vere e proprie paure, sacrosante) che potevano intravedersi lo scorso anno. In sede di presentazione, Nigrelli sostiene che la pandemia abbia indotto nientemeno che «un nuovo ciclo urbano», dalla direzione però ancora incerta: da un lato funzionale a una «manutenzione del modello iperliberista»; dall’altra, più estrema, che ripensi alla radice le forme di inurbamento, invertendo il ciclo storico della «iperconcentrazione insediativa metropolitana» [pp. 9-10]. Se il tema è giusto – ragionare cioè della qualità e quantità degli insediamenti urbani – l’approccio è discutibile (non sbagliato, attenzione, ma problematico): può l’urbanistica rispondere a sollecitazioni che avvengono su altri piani, su altre scale? Può un pensiero urbano governare fenomeni che trascendono la città e che precipitano su di essa?
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Fausto Carmelo Nigrelli (a cura di), Come cambieranno le città e i territori dopo il Covid-19. Le tesi di dieci urbanisti, Quodlibet studio 2021, 162 pp., 19 €

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