La grande bellezza non è quella del passato

da Christian Raimo

 Non ho mai vissuto fuori da Roma più di trenta giorni di seguito, forse venti giorni di seguito, forse diciotto. È questa la ragione per cui ogni volta che leggo un libro, un reportage, una guida che parli della mia città, sono pronto a liquidarla: non conoscete Roma quanto me, penso, non l’avete subita quanto me.Le librerie di Roma, anche fuori dal circuito turistico del centro storico, ospitano da qualche anno una sezione apposita sulla città; prima era uno scaffale, oggi è un reparto, cosicché la battaglia tra me e l’esercito delle narrazioni romane si fa sempre più ostica. Monografie di mille pagine, testi di urbanistica con grandi foto, ma soprattutto una fiumana di guide segrete, anomale, singolari, alla Roma inedita, sconosciuta, imprevista, bizzarra. Il turismo altro, controcorrente, fuori dagli itinerari consueti, nella Roma sotterranea, catacombale, in quella moderna invece che nella antica, nella città razionale invece che nella città barocca, chiede di dare retta a lui e non a altri: sfodera scatole misteriose in cui illude ci sia un gioco d’artificio, una psicomagia per rendersi immortali nella città eterna almeno per un weekend.Nell’era del turismo globale, Roma vende sé stessa nel modo che le riesce meglio: dichiarando di essere comunque un’eccezione. Non prima inter pares, ma caput mundi, urbe per antonomasia, civitas terrestris specchio della civitas dei. Come la nobiltà in disgrazia, persino nel declino sa di rappresentare un culmine: quale caduta dell’impero è stata più rovinosa? non si sente ancora l’eco del crollo in ogni reliquia di duemila anni fa? La grande bellezza non è quella del passato, ma quella della sconfitta: non solo il potere di far fallire le feste, ma la letizia di assistere al disastro, di contemplare la rovina, le salme lasciate in terra. Persino del degrado Roma si proclama un’eroina: i cassonetti traboccanti, le stazioni della metro chiuse per mesi, le buche e il traffico come una malattia autoimmune, gli ormai leggendari topi e cinghiali, non rendono l’idea. Abituata alla retorica della catastrofe, alle pianete dell’apocalisse, la città eterna non accampa scuse: è soltanto consapevole di poter sopravvivere a qualunque morbo, attentato o suicidio. La grandeur romana è inattaccabile, perché è così anche nell’aver concepito i mostri. Il sublime disastroso, un po’ sinonimo un po’ antifrasi di quello che Renato Nicolini definì il meraviglioso urbano".

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