Il Porta a porta è sempre meno presente nelle vie e piazze di Roma. Dopo Torrino, Settebagni e Colli Aniene, ora anche nel quartiere Cecchignola, zona sud della Capitale, stanno progressivamente ricomparendo i cassonetti stradali e scomparendo i bidoncini del Porta a porta, la modalità di raccolta domiciliare della spazzatura urbana. Stesso copione già vissuto appena un anno fa anche in altre zone della Capitale, come Ostia.
L’arretramento del Porta a porta del resto è confermano dai dati resi pubblici di recente dall’Agenzia per il Controllo e la qualità dei Servizi di Roma, una specie di costola del Campidoglio. Il report pubblico è spietato: la raccolta differenziata a Roma è passata dal 26% del 2012 al 41% del 2015, mentre nello stesso periodo di tempo i cittadini raggiunti dal servizio sono passati dal 6% al 29%.
Dopo il 2016, senza investimenti adeguati e senza volontà politica, la raccolta differenziata è cresciuta sempre meno attestandosi ora tra il 43 e 44%, contro il limite minimo di legge fissato al 65%.
Eppure gli studi epidemiologici commissionati dalla Regione Lazio (www.eralazio.it) ai medici epidemiologi del Sistema Sanitario Nazionale parlano chiaro: nel raggio di 7 km in linea d’aria dalle discariche, dai TMB (i frullatori per rifiuti indifferenziati) e dagli inceneritori regionali, ossia nei centri in cui si trattano i rifiuti indifferenziati, si muore, ci si ammala e ricovera più che altrove.
L’Ama, per cercare di scongiurare il suo fallimento, è stata costretta ad approvare un aumento di capitale da 100 milioni di euro, un conto che pagheranno i cittadini romani sulla prossima bolletta dei rifiuti, la famosa Tari, già ora tra le più salate d’Italia.
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